Scienza cognitiva

Il comportamento umano è stato oggetto di analisi e riflessioni sin dalla nascita della filosofia nell'antica Grecia, ma una vera e propria scienza del comportamento è nata solo nella seconda metà dell'800, quando sono stati creati i primi laboratori sperimentali di psicologia e il comportamento e le capacità cognitive umane hanno cominciato a essere studiati con gli stessi metodi controllati, ripetibili e quantitativi adottati fin dal '600 dalle scienze della natura. Nella prima metà del '900 la psicologia ha applicato il metodo

sperimentale allo studio del comportamento umano e di quello degli animali, raccogliendo una grande quantità di dati empirici e scoprendo molti fenomeni nuovi che sono stati interpretati usando quadri teorici di riferimento molto diversi. L'adozione del metodo sperimentale ha dato dignità di scienza alla psicologia, anche se questo metodo ha potuto essere applicato solo agli aspetti più pubblici, oggettivi, misurabili, del comportamento e delle capacità cognitive, mentre gli aspetti privati, individuali, affettivi, sono stati affidati a metodi meno scientificamente solidi come il colloquio clinico e le pratiche psicoterapeutiche. Fino alla metà del secolo scorso la psicologia è rimasta la sola disciplina scientifica che avesse come suo esplicito oggetto di studio il comportamento. La psicologia è stata affiancata soltanto dalla neurologia, che si occupa di disturbi del comportamento associati a danni cerebrali, e dall'etologia, una disciplina che fin dalla prima metà del '900 ha studiato il comportamento animale osservandolo nelle condizioni naturali e non in quelle artificiali del laboratorio sperimentale e interpretandolo nei termini della teoria biologica dell'evoluzione come adattamento all'ambiente. Questa situazione è cambiata nella seconda metà del '900 con la nascita della scienza cognitiva, frutto della collaborazione tra discipline diverse ma tutte con l'obiettivo di comprendere il comportamento e la cognizione. Fino agli anni '80 del '900 le discipline principali che hanno dato il loro contributo alla scienza cognitiva sono state la psicologia di orientamento cognitivistico, la linguistica formale ispirata alle teorie di N. Chomsky, l'informatica e l'intelligenza artificiale, e la filosofia di orientamento analitico. A partire dagli anni '80 la scienza cognitiva è diventata più biologica e più vicina alle scienze naturali, e un ruolo più importante al suo interno è stato svolto dalla psicologia di orientamento connessionista, dalle neuroscienze e dalle scienze biologiche in genere.

La nascita della scienza cognitiva alla fine degli anni '50 del '900 deve essere attribuita a un problema fondamentale rimasto fino ad allora irrisolto nello studio del comportamento, e a un'occasione per risolverlo che si è presentata in quegli anni. Il problema irrisolto era quello del vocabolario teorico da usare nell'interpretare e spiegare i dati empirici del comportamento e delle capacità cognitive. L'occasione per risolverlo è stato l'emergere, in quegli anni, del computer, inteso come quadro concettuale e tecnico della scienza del computer, l'informatica, che in quegli anni andava definendosi. La psicologia è nata, come scienza, con la creazione dei primi laboratori. Adottando il metodo sperimentale di laboratorio per studiare il comportamento, la psicologia prendeva le distanze dalla filosofia, la quale si limita a elaborare analisi e teorie del comportamento senza sottoporle, come fa la scienza, alla prova empirica dei fatti osservati in maniera sistematica e oggettiva. Quella della psicologia è stata così una rivoluzione, ma solo a metà, in quanto ha riguardato il metodo di ricerca ma non l'apparato teorico con il quale interpretare i risultati degli esperimenti e le osservazioni del comportamento. Da questo punto di vista, la psicologia è rimasta ancora molto vicina alla filosofia e lontana dalle scienze naturali, le quali interpretano ogni fenomeno come effetto fisico di cause fisiche e di natura quantitativa. Adottando un vocabolario teorico che fa riferimento a entità, meccanismi e processi di natura non fisica e quantitativa, ma mentale e qualitativa, la psicologia ha fatto ricorso a un vocabolario teorico derivato in parte proprio dalla tradizione filosofica e in parte dal linguaggio con cui nella vita di tutti i giorni le persone parlano del proprio comportamento e del comportamento degli altri, e questo è rimasto sempre un punto debole della psicologia come scienza. Le entità e i processi mentali a cui la psicologia fa riferimento non sono cose osservabili, direttamente con i sensi o mediante strumenti, e questo è un problema per la scienza dato che quello che non è osservabile rimane sempre qualcosa di mal definito e di interpretabile soggettivamente. Il disagio della psicologia nei riguardi del suo stesso vocabolario teorico è stato all'origine del comportamentismo, che ha cercato di risolvere radicalmente il problema proponendo di escludere dal vocabolario teorico della psicologia ogni riferimento a entità e processi mentali e di limitare questo vocabolario a ciò che, del comportamento, è direttamente osservabile, cioè gli stimoli che arrivano ai recettori sensoriali degli organismi e le risposte motorie con cui gli organismi reagiscono a questi stimoli. Per i comportamentisti la psicologia doveva limitarsi a spiegare le risposte in funzione degli stimoli, ignorando tutto quello che sta in mezzo tra gli stimoli e le risposte.

Questa soluzione radicale, tuttavia, non è stata mai davvero accettata dagli psicologi. Il comportamento, specialmente quello umano, è troppo complesso per essere spiegato solamente in funzione degli stimoli che giungono all'organismo. Tra gli stimoli e le risposte vi sono cause interne, che hanno un ruolo cruciale e che non possiamo ignorare se vogliamo spiegare perché un certo stimolo produce una certa risposta e perché molti comportamenti appaiono spontanei, cioè determinati da cause interne all'organismo, anziché dagli stimoli che gli giungono dall'esterno. A metà degli anni '50 era dunque evidente che la soluzione comportamentista non era una vera soluzione, e tuttavia non si vedeva come dare alla psicologia un vocabolario teorico più scientifico. La soluzione è stata trovata con il computer. Il computer è una macchina fisica che manipola simboli in base a regole che li trattano come pure entità fisiche, senza dare loro alcun significato. Le regole, cioè il programma del computer, prescrivono come recuperare simboli da «memorie» che li contengono, come confrontarli tra di loro, come modificarli, come comporre nuovi simboli per mezzo di quelli già esistenti, come conservarli nelle «memorie», e così via. Poiché gli umani interpretano i simboli del computer nei modi che vogliono, le operazioni che il computer fa con grande velocità, precisione, senza errori, su masse molto grandi di simboli possono essere loro utili per una varietà di scopi pratici. Il computer è una macchina fisica ma, a differenza delle altre, non interagisce fisicamente con la realtà e non la manipola fisicamente. E’ una macchina che compie operazioni su simboli che, per certi aspetti, somigliano alle operazioni che fa la mente umana: ricordare (recuperare simboli dalla «memoria»), ragionare (generare nuovi simboli a partire dai simboli esistenti), riconoscere oggetti (operando sui simboli che codificano questi oggetti), perfino capire e produrre linguaggio (derivando simboli dai simboli che codificano i segnali linguistici e producendo segnali linguistici a partire dai simboli che rappresentano il loro significato). Fin dall'inizio, perciò, il computer è stato visto come un analogo della mente umana, inducendo a chiedersi se il computer pensa nello stesso modo della mente umana. Per converso la mente umana è parsa come un computer.

L'analogia tra il computer e la mente umana è stata vista come la soluzione al problema del vocabolario teorico della psicologia. Se la mente umana è come un computer, cioè è un sistema che opera su simboli come fa il computer, il vocabolario teorico della scienza del computer, l'informatica, può essere preso come base e come modello per il vocabolario teorico con cui interpretare e spiegare scientificamente la mente umana e le sue prestazioni.

E’’ su questa base che alla fine degli anni '50 del '900 è nata la scienza cognitiva «classica», la quale ha riunito sotto di sé le discipline che condividevano l'idea di una somiglianza tra il computer e la mente: la psicologia di orientamento cognitivistico, che ha proposto modelli interpretativi delle capacità cognitive simili ai diagrammi di flusso dell'informazione con cui si schematizza il modo di funzionare del software dei computer; la linguistica chomskyana, che interpreta il linguaggio come generato da regole che operano su simboli; ovviamente l'informatica, che forniva i concetti e i modelli interpretativi di base al vocabolario teorico della scienza cognitiva; l'intelligenza artificiale, che cercava di riprodurre in un computer l'intelligenza umana interpretata come manipolazione di simboli; e infine la filosofia di orientamento analitico, che aveva contribuito con la logica e con le riflessioni sui fondamenti della matematica all'emergere dei computer e dell'informatica. Questo convergere di diverse discipline su un modello unico e condiviso di studio della mente e la sua applicazione a una grande varietà di fenomeni empirici ha prodotto molti risultati importanti per quel che riguarda la nostra conoscenza del linguaggio, della percezione, della memoria, del ragionamento, inclusi i disturbi di queste capacità legati a danni al sistema nervoso, e ha avuto applicazioni anche al comportamento animale e allo studio dei fenomeni sociali da parte di discipline come l'antropologia e la sociologia. A partire dagli anni '80 del '900, tuttavia, l'analogia tra la mente e il computer e la scienza cognitiva «classica» hanno cominciato a mostrare limiti e a incontrare opposizioni. E’ diventato sempre più evidente un fatto che non si riesce a spiegare se la mente è come un computer: alla mente umana riescono con difficoltà compiti che sono molto facili per un computer (fare lunghi e complessi ragionamenti senza commettere errori, ricordare tutto ugualmente bene), mentre le riescono con facilità compiti che il computer neppure oggi è in grado di svolgere o svolge con grande difficoltà (riconoscere gli oggetti percepiti, far muovere con efficienza il corpo nello spazio, capire veramente il linguaggio e produrre linguaggio capendo il linguaggio prodotto). Inoltre, il computer è una macchina puramente cognitiva, che non sente le emozioni e non vive stati affettivi, mentre gli esseri umani, e gli organismi in genere, sono prima di tutto sistemi i cui comportamenti e capacità funzionano sotto lo stretto controllo di motivazioni e emozioni. Infine, l'analogia mente/computer e la scienza cognitiva «classica» implicano una sostanziale indipendenza della scienza della mente dalla scienza del cervello. Il computer è una macchina dualistica, nel senso che Phardware viene studiato da una disciplina, la fisica, mentre il software viene studiato da una disciplina concettualmente del tutto indipendente dalla fisica, cioè l'informatica. Questo dualismo concettuale, del tutto appropriato per il computer, trasferito alla mente umana produce un dualismo tra lo studio del corpo, affidato alle scienze naturali, e in particolare alla biologia e alle neuroscienze, e lo studio della mente affidato alla psicologia e alla scienza cognitiva. In questo modo l’analogia tra la mente e il computer e la scienza cognitiva «classica» finiscono per avere un molo regressivo nello sviluppo della scienza, rafforzando e legittimando il tradizionale dualismo tra il corpo e la mente. Ma questo dualismo comporta che la scienza cognitiva non può direttamente giovarsi dei grandi progressi delle scienze biologiche e in particolare delle neuroscienze, che sono diventati molto rapidi.

Questo stato di cose ha portato negli ultimi due decenni all'emergere di un nuovo tipo di scienza cognitiva, molto diversa e per molti aspetti opposta alla scienza cognitiva «classica». La nuova scienza cognitiva si fonda anch'essa su un approccio interdisciplinare allo studio della mente, ma risolve in modo molto diverso il problema del vocabolario teorico della scienza della mente. La nuova scienza cognitiva, che possiamo chiamare «neurale», abbandona del tutto l'analogia tra la mente e il computer e cerca direttamente nelle neuroscienze il vocabolario teorico con cui interpretare e spiegare i comportamenti e le capacità cognitive. Questi vengono visti unicamente come il risultato di processi in cui cause fisiche producono effetti fisici, e in cui ogni entità e meccanismo ha natura intrinsecamente quantitativa. In questo modo emerge una scienza della mente che stabilisce una continuità completa con le scienze della natura, portando a compimento la rivoluzione nello studio della mente iniziata dalla psicologia nella seconda metà dell'800 e rendendo definitivamente autonoma la scienza della mente dalla filosofia.

Gli strumenti teorici e modellistici della nuova scienza della mente «neurale» sono le reti neurali artificiali, modelli simulati al computer e ispirati alla struttura fisica e al modo fisico di funzionare del sistema nervoso. La psicologia che usa le reti neurali vie-

ne chiamata «psicologia connessionista» (dalle connessioni sinaptiche che collegano i neuroni nel cervello). Il complesso interdisciplinare della nuova scienza cognitiva è parecchio diverso da quello della scienza cognitiva «classica». La psicologia cognitivi-stica, la linguistica chomskyana, l'informatica, e la filosofia di orientamento analitico passano in secondo piano, ed emergono invece la psicologia connessionista che usa le reti neurali, le neuroscienze e in genere le scienze biologiche, e la stessa fisica e la matematica in quanto scienze fondamentali della natura.

Anche il ruolo del computer è diverso nelle due scienze cognitive. Nella scienza cognitiva «classica» esso ha soprattutto il ruolo di fonte di ispirazione concettuale. Nella nuova scienza cognitiva «neurale» l'analogia mente/computer viene abbandonata, ma il computer diventa uno strumento di ricerca fondamentale in quanto i modelli teorici della scienza cognitiva «neurale», le reti neurali, sono modelli simulati al computer. Queste simulazioni, abbastanza rare nella scienza cognitiva classica, sono invece molto comuni in quella neurale. Le simulazioni sono essenziali per osservare come un insieme di neuroni, interagendo tra di loro attraverso le connessioni sinaptiche e interagendo con l'ambiente esterno e con il resto del corpo, possono produrre quelle entità, quei processi e quelle capacità che la psicologia descrive con il suo tradizionale vocabolario mentalistico.

E’’ troppo presto oggi per dire quali saranno i risultati della scienza cognitiva neurale. Le simulazioni portano a semplificare i fenomeni. Questo non è di per sé un difetto, in quanto tutte le teorie e tutti i modelli della scienza semplificano rispetto alla realtà, e ci fanno capire meglio la realtà proprio in quanto la semplificano. Tuttavia è essenziale che le semplificazioni siano quelle giuste, cioè siano quelle che trascurano gli aspetti della realtà che non sono importanti per spiegare i fenomeni che ci interessano ma non gli aspetti che sono importanti. Inoltre, le simulazioni sono solo teorie o modelli. I risultati delle simulazioni sono le predizioni empiriche che si possono derivare dalle teorie e dai modelli, e le simulazioni sono utili proprio perché generano un grande numero di predizioni empiriche. E’ poi necessario che i risultati delle simulazioni vengano confrontati con i dati empirici reali e con i risultati degli esperimenti. Infine, una direzione in cui si sta muovendo oggi la nuova scienza cognitiva neurale è quella di dare importanza, per spiegare il comportamento, non solo al sistema nervoso ma anche alla morfologia esterna del corpo e a quello che sta dentro al corpo al di là del sistema nervoso, oltre che all'ambiente esterno, che spesso è un ambiente sociale fatto dagli individui della stessa specie. Questo apre prospettive molto interessanti al fine di spiegare veramente il comportamento, ma rende le simulazioni sempre più complesse.

DOMENICO PARISI